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Differenza tra somministrazione alimenti e attività artigianale di asporto cibi

Molti nostri clienti che intendono intraprendere delle attività all’interno del settore alimentare frequentemente ci pongono la domanda su quale sia la differenza tra l’attività di somministrazione e l’attività artigianale di asporto cibi. In via molto generale la differenza può essere fatta facendo riferimento ad un esempio molto comune. La somministrazione di alimenti e bevande può essere associata ad una pizzeria o un ristorante dove si consuma sul posto, mentre l’attività artigianale per asporto cibi ad una pizzeria al taglio. Da questa prima distinzione si può notare che la differenza che salta all’occhio è il momento in cui viene consumato il cibo. La pizzeria con servizio ai tavoli è una attività di somministrazione. La pizzeria d’asporto, dove la pizza viene consumata generalmente in un altro luogo viene annoverata nelle attività artigianali.

Sommario

Il rilascio delle autorizzazioni

La tipologia di esercizi rientranti nell'attività di somministrazione

Attività artigianali per l'asporto di cibo

Attenzione ai requisiti professionali

Attività artigianale: vendibili anche prodotti di terzi

Attività artigianale: come i clienti possono consumare sul posto gli alimenti

La somministrazione non assistita

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Nel corso del tempo tuttavia, si sono venute a creare delle situazioni in cui la somministrazione di alimenti e bevande e la attività artigianale di asporto cibi sono entrate, per così dire, in contrasto tra loro e spesso la differenza tra di loro si è assottigliata. Con l’articolo di oggi cercheremo di fare chiarezza su quali tipi di attività fanno parte della somministrazione di cibi e alimenti e quelle che possono essere comprese all’interno della categoria di attività artigianale da asporto. Partiamo dalla somministrazione di alimenti e bevande.

La somministrazione di alimenti e bevande

La somministrazione di alimenti e bevande è disciplinata dalla Legge del 25 agosto 1991 n. 287. Nell’art.1 della predetta Legge viene definita la somministrazione di alimenti e bevande come: “la vendita per il consumo sul posto, che comprende tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell’esercizio o in una superficie aperta al pubblico, all’uopo attrezzati”. La Legge prosegue dettando le condizioni e i requisiti che si necessitano per intraprendere l’attività di somministrazione. Nell’articolo 2, della predetta Legge, si afferma che il titolare dell’impresa individuale o il rappresentante legale della società è subordinato all’iscrizione nel registro della camera di commercio. Inoltre, l’iscrizione al registro è anch’essa subordinata al possesso di certi requisiti:

N.B. Sono ammessi all’esame, coloro che sono in possesso di  titolo  di  studio  universitario  o  di istruzione secondaria superiore nonché  coloro  che  hanno  prestato servizio, per almeno  due  anni  negli  ultimi  cinque  anni,  presso imprese esercenti attività di  somministrazione  di  alimenti  e  di bevande,  in  qualità  di  dipendenti   qualificati   addetti   alla somministrazione,  alla  produzione  o  all’amministrazione.

Il rilascio delle autorizzazioni

Come per tutte le attività commerciali anche l’avvio dell’attività di somministrazione deve essere segnalata al comune di appartenenza con la SCIA come afferma il Decreto legislativo 6 agosto 2012, n. 147.

La tipologia di esercizi rientranti nell’attività di somministrazione

Il tema degli esercizi che compongono la somministrazione di alimenti e bevande sono previste anche esse dalla Legge del 1991, queste corrispondono a:

  1. esercizi di ristorazione, per la somministrazione di pasti e di bevande, comprese quelle aventi un contenuto alcoolico superiore al 21 per cento del volume, e di latte (ristoranti, trattorie, tavole calde, pizzerie, birrerie ed esercizi similari);
  2. esercizi per la somministrazione di bevande, comprese quelle alcooliche di qualsiasi gradazione, nonché di latte, di dolciumi, compresi i generi di pasticceria e gelateria, e di prodotti di gastronomia (bar, caffè, gelaterie, pasticcerie ed esercizi similari);
  3. esercizi di cui ai numeri 1. e 2., in cui la somministrazione di alimenti e di bevande viene effettuata congiuntamente ad attività di trattenimento e svago, in sale da ballo, sale da gioco, locali notturni, stabilimenti balneari ed esercizi similari;
  4. esercizi di cui al numero 2., nei quali è esclusa la somministrazione di bevande alcooliche di qualsiasi gradazione.

La sopra citata è la normativa generale vigente riguardo le attività di somministrazione di alimenti e bevande. Per ulteriori chiarimenti riguardo gli argomenti non trattati nello specifico si rimanda alla legge allegata a questo articolo. Adesso, ci occuperemo del caso più particolare delle attività artigianali per l’asporto di cibo.

Attività artigianali per l’asporto di cibo

Ai sensi dell’art. 3 della L.443/1985 un’impresa artigiana viene identificata come tale quando: “svolge un’attività avente ad oggetto la produzione di beni, anche semilavorati, la prestazione di servizi escluse le attività agricole e le attività di prestazione di servizi commerciali, di intermediazione nella circolazione di beni o ausiliarie di queste ultime, di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, salvo il caso che siano solamente strumentali all’esercizio dell’impresa”.
Un artigiano, quindi, può vendere ciò che produce in proprio. In questo caso l’artigiano non ha bisogno del possesso dei requisiti professionali, come nel caso dell’attività di somministrazione. Questo non toglie il rispetto delle norme di igiene!

Attenzione ai requisiti professionali

Rispetto alle attività artigianali, la somministrazione e il commercio sono invece sottoposti al possesso dei requisiti professionali. Per poter rivendere (commercializzare) alimenti e bevande (es. bibite in lattina, bottigliette, ecc.) acquistati da terzi, è necessario possedere i requisiti professionali, in alcuni casi aver superato il corso per il commercio di alimenti e bevande. È comunque sempre necessario:

Attività artigianale: vendibili anche prodotti di terzi

In generale l’artigiano può vendere solo ciò egli produce o comunque il titolare di un’impresa artigiana può svolgere contemporaneamente anche attività commerciale e rimanere iscritto all’albo purché l’attività artigiana, in termini di tempo-lavoro, sia prevalente rispetto a quella commerciale. Nel caso di un artigiano pizzaiolo, per esempio, all’interno del suo locale egli potrà vendere solo ciò che egli ha prodotto, la pizza appunto. Nel caso voglia accompagnare la vendita della propria pizza con delle bibite che non sono di sua produzione necessiterà dell’autorizzazione commerciale con relativa autorizzazione per ciò che concerne gli alimenti o le bevande ma rimarrà sempre nel campo di applicazione della normativa sugli artigiani.
N.B. l’artigiano potrà anch’esso presentare richiesta per ipotizzabile occupazione di suolo pubblico, ma solo per panche, piante ornamentali etc. e non per suppellettili che consentano il consumo sul posto dei propri prodotti.

Attività artigianale: come i clienti possono consumare sul posto gli alimenti

La somministrazione non assistita

Nel caso in cui un artigiano di cibi da asporto, la nostra pizzeria al taglio per intenderci, apra una attività come esercizio di vicinato, dove per tale viene inteso ai sensi del D. lgs. 114/98, la situazione comincia a complicarsi a causa della situazione in cui viene consumato il cibo all’interno del locale. Gli esercizi di vicinato sono quelli aventi superficie di vendita non superiore a 150 mq nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250 mq nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti.
Inoltre, con la legge 248/06, il cosiddetto decreto Bersani, all’art. 3 chiamato “regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale” al comma 1 lettera f-bis viene data la possibilità di ottenere l’autorizzazione preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l’esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie. Per capire meglio la distinzione tra attività artigianale di cibi da asporto e somministrazione di cibi e bevande dobbiamo introdurre il concetto di somministrazione non assistita. La somministrazione non assistita deve essere intesa come una somministrazione dove non viene effettuato il servizio ai tavoli, il cosiddetto autoconsumo. In questo senso, la somministrazione non assistita può essere effettuata utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda con eventuali punti di appoggio (mensole, tavoli alti tipo autogrill etc.) ma senza la predisposizione di tavoli imbanditi e preparati per la somministrazione e comunque nel rispetto delle norme igienico sanitarie. Detto questo, passiamo ad esaminare le posizioni del ministero dello sviluppo economico riguardo la somministrazione e l’attività artigianale, al fine di avere una visione complessiva delle due attività.

La posizione del ministero dello sviluppo economico

Il Ministero dello Sviluppo economico, al punto 8.1 della Circolare esplicativa 3603/C del 28.09.2006 della legge 248/06, aveva definito che il consumo sul posto dei prodotti di gastronomia da parte degli esercizi di vicinato, se in possesso del titolo per la vendita dei prodotti alimentari:

non può essere vietato o limitato se svolto alle condizioni espressamente previste dalla nuova disposizione. Le condizioni concernono la presenza di arredi nei locali dell’azienda e l’esclusione del servizio assistito di somministrazione. Per quanto riguarda gli arredi è di tutta evenienza che i medesimi devono essere correlati all’attività consentita, che nel caso di specie è la vendita per asporto dei prodotti alimentari e il consumo sul posto dei prodotti di gastronomia. In ogni caso, però, la norma che consente negli esercizi di vicinato il consumo sul posto non prevede una modalità analoga a quella consentita negli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande di cui alla legge 25 agosto 1991, n. 287”. (i tavoli per appunto).

Ed ancora il MISE con la risoluzione n. 174884 del 29 settembre 2015, afferma che:

L’elemento di distinzione tra l’attività di somministrazione e l’attività di vendita è la presenza di una attrezzatura in grado di consentire che i prodotti oggetto della vendita, ossia gli alimenti e le bevande, possano essere consumati dagli acquirenti nei locali dell’esercizio o in una superficie aperta al pubblico a tal fine attrezzati. Pertanto si può parlare di somministrazione di alimenti e bevande in senso proprio, soltanto nel caso in cui la vendita del prodotto avvenga in locali dotati di una attrezzatura idonea a consentire la consumazione sul posto”.

In ordine agli arredi consentiti per tale tipica attività di somministrazione, con la predetta risoluzione, il Ministero ha, evidenziato che:

“ Nei locali degli esercizi di vicinato, quindi, gli arredi richiamati dalla disposizione non possono coincidere con le attrezzature tradizionalmente utilizzate negli esercizi di somministrazione. (…) Per garantire le condizioni minime di fruizione è stato infatti ritenuto ammissibile solo l’utilizzo di piani di appoggio di dimensioni congrue all’ampiezza ed alla capacità ricettiva del locale nonché la fornitura di stoviglie e posate a perdere

Pertanto, la disciplina in materia di consumo sul posto continua ad escludere la possibilità di contemporanea presenza di tavoli e sedie associati o associabili, fatta salva solo la necessità di un’interpretazione ragionevole di tale vincolo, che non consente di escludere, ad esempio, la presenza di un limitato numero di panchine o altre sedute non abbinabili ad eventuali piani di appoggio. A questa risoluzione, negli anni, ne sono seguite delle altre dove il MISE è rimasto sempre dello stesso avviso.

Nell’ottobre del 2016, in un bollettino, l’AGCM ha invitato il MISE a rivedere la sua posizione affermando che:

Riguardo all’interpretazione suggerita nelle richiamate Risoluzioni, l’Autorità rileva che esse incentrano l’elemento distintivo tra l’attività di somministrazione di alimenti e bevande (definita dall’art. 1, comma 1, della legge n. 287/91) e l’attività di vendita (di cui all’art. 3, comma 1, D.L. n. 223/2006) sulla modalità di consumo offerta, in termini di attrezzatura utilizzabile per consentire il consumo sul posto. Tale impostazione, che rievoca i termini impiegati dalla legge n. 287/1991 sulla somministrazione, appare idonea a limitare significativamente l’attività degli esercizi di vicinato non autorizzati alla somministrazione di alimenti e bevande, in assenza di giustificazioni obiettive. A ciò si aggiunga che, oltre a risultare non aderente alle nuove abitudini di consumo e suscettibile di limitare le possibilità di scelta dei consumatori, tale interpretazione crea un’indebita discriminazione fra i vari operatori del settore. Ne deriva un approccio che risulta in palese contrasto nel suo complesso con i principi posti dal legislatore. Le richiamate Risoluzioni non tengono, infatti, conto del fatto che già il D.L. n. 223/2006 aveva inteso superare o quantomeno coordinare con i principi di concorrenza tutte le attività di consumo sul posto di alimenti e bevande, individuando il “discrimen” tra l’attività di somministrazione e quella di vendita da parte degli esercizi di vicinato unicamente nella presenza o meno del servizio assistito”.

In ultima, con la sua risposta il MISE (la risoluzione n.372321 del 28/11/2016) pone l’attenzione sulle differenti tipologie di autorizzazioni necessarie per le due attività.  La linea di demarcazione quindi, tra somministrazione e attività artigianale – esercizio di vicinato sarà data attraverso la modalità in cui viene consumato il cibo: con servizio al tavolo per la somministrazione, oppure attraverso il consumo con l’ausilio di “un limitato numero di panchine o altre sedute non abbinabili ad eventuali piani di appoggio” per l’attività artigianale inquadrata come esercizio di vicinato.

Afferma il MISE:

Il problema non è infatti quello di determinare disparità ingiustificate fra esercizi abilitati a praticare il consumo sul posto ed esercizi di somministrazione, bensì quello di non rendere fonte di disparità del tutto ingiustificate i vantaggi di semplificazione nell’acquisizione del titolo autorizzatorio per gli esercizi in cui si pratica il consumo sul posto, rispetto ai normali pubblici esercizi, in presenza di caratteristiche di servizio sostanzialmente assimilabili e di pari impatto.(…) Esemplificando ed estremizzando, dove non è consentita l’apertura di un ristorante con venti tavoli ed una potenziale numerosa clientela che permanga per lungo tempo in modo più o meno rumoroso nella relativa area di riferimento, non può essere consentita una analoga situazione per il solo fatto che l’esercizio in questione abbia scelto di presentare SCIA come esercizio di vicinato di vendita di prodotti alimentari e senza richiedere specifica autorizzazione, che gli sarebbe stata negata, come pubblico esercizio di somministrazione. Naturalmente tutte le predette considerazioni valgono a norme vigenti e nelle more di eventuali diverse indicazioni a livello di indirizzo politico, anche in relazione ad un eventuale più approfondito esame della richiamata segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nonché degli effetti del richiamato decreto legislativo n. 222 del 2016.”

Per concludere, riguardo questo tema la normativa attuale lascia margini di manovra alla legiferazione regionale, difatti, le considerazioni precedenti non sono riferibili alle regioni (es. Lombardia, Toscana) che, con propria normativa, hanno disciplinato il settore, stabilendo che anche gli artigiani alimentaristi possano o meno effettuare somministrazione non assistita dei propri prodotti e i relativi requisiti che debbano possedere o meno.

allegato (clicca qui)

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Autore: Michele (Partitaiva24.it)
Pubblicato il: 20/10/2017
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    4 commenti
  1. Attila ha detto:

    Ben stilato, tutto molto chiaro, è semplice. Bravi!

  2. Pietro ha detto:

    Salve io se apro un bar in centro storico ove il locale ha il permesso ed esenzione xl accesso agli invalidi dal comune xmotivi strutturali, posso offrire un servizio ai tavoli di base restando nelle regole?

    • Giulia ha detto:

      Buongiorno Pietro, il tema è specifico per essere affrontato su un sito pubblico, bisognerebbe approfondire il suo caso con una consulenza ad hoc.